Storie

Quattro chiacchiere con Vanessa Marenco

Ciao Vanessa, ci racconti un po’ il tuo background?

Sono stata ospite della sezione di Via Maria Vittoria da ottobre 1999 a metà del 2004.
Sono stati anni incredibili, quelli passati in Collegio: ero venuta a Torino a vivere da sola, ma in realtà non sono mai stata sola. L’esperienza all’Einaudi mi ha infatti permesso di incontrare persone che sono rimaste con me, nonostante la distanza geografica, nonostante i vari percorsi che la vita ha poi preso dopo. Inoltre, mi ha dato l’opportunità di crescere ed imparare a vivere in autonomia, anche nelle piccole cose.
C’è stata una pausa solo nel 2003, quando sono andata in Erasmus in Irlanda, il paese dove poi ho vissuto per più di 8 anni alla fine dell’università e di cui ho parlato nel mio primo libro di viaggi.
Ho una laurea in lingue e letterature straniere. Dopo così tanti anni, quando penso al percorso che ho scelto di fare all’università, capisco chiaramente d’essere stata fortunata perché ho amato profondamente quello che ho studiato.

Dopo la laurea hai intrapreso una strada non scontata. Cosa ti ha spinto a cercare lavoro in un campo completamente diverso dai tuoi studi?

Ho lasciato l’Italia alla fine dell’estate del 2004 e sono andata in Irlanda. Sono partita senza un lavoro, con pochissimi soldi, ma con una voglia di mettermi in gioco infinita e forse un pochino d’incoscienza.
Sono arrivata in Irlanda nel momento giusto: erano anni d’oro per l’economia e il mondo del lavoro dell’isola che stava attraversando il boom della Tigre Celtica. Dopo un paio di settimane, infatti, sono stata assunta nell’azienda per cui ancora oggi lavoro dall’Italia. Diciamo che questa prima opportunità è semplicemente successa: avevo dalla mia una più che buona conoscenza dell’inglese, un paio di lingue europee utili (italiano e tedesco), e un minimo di specializzazione nella traduzione medica.
Soprattutto, però, ho accettato volentieri un lavoro che non aveva nulla a che fare con quello che avevo studiato all’università. La multinazionale per cui lavoro da più di 15 anni infatti si occupa di dispositivi medici minimamente invasivi.

Qual è la lezione più importante che hai imparato da questa esperienza?

Penso d’aver imparato moltissimo e d’essere cresciuta a livello professionale, ma soprattutto umano. Molti dei miei “spigoli”, molto evidenti soprattutto nei primi anni di lavoro, si sono lentamente smussati. Si ascolta di più. Si impara a lasciare andare. In Irlanda, ho avuto colleghi (con alcuni dei quali continuo tutt’oggi a lavorare, o a rimanere in stretto contatto) da tutte le nazioni d’Europa: l’ufficio è stato infatti un luogo di incontro e di confronto continuo.
Da quando sono rientrata in Italia, sono sempre parte di un team europeo, ma virtuale: anche se non condividiamo la stessa stanza fisica, abbiamo in comune il rispetto l’uno dell’altro e lavoriamo da remoto insieme a progetti nazionali e internazionali.

Veniamo ora alla tua grande passione: viaggiare! Perché viaggi?

Quanto tempo abbiamo per questa intervista? 😊
Viaggio perché mi sembra d’essere nata per farlo: se non lo faccio, mi sembra di respirare a metà. Viaggiare mi mette in gioco, che in italiano è un’espressione meravigliosa: in viaggio, si rischia, si scende a compromessi, si impara. Viaggio anche perché ho bisogno di ricordare a me stessa che la normalità non esiste: i punti di vista sono per definizione relativi e tutti percorriamo traiettorie instabili, impazzite e mutabili. Parto per ricordarmi che non c’è nulla di assoluto e fisso. Viaggio perché mi sembra che più lo faccio, meno capisco: significa che sto ancora evolvendo e ho ancora tante storie da ascoltare, tanta musica da scoprire, tante mani da stringere, tanti treni da perdere e tanti abbracci da prendere (quando potremo abbracciarci, di nuovo!).

Come è nata la tua passione per i viaggi in solitaria? E perché hai scelto di viaggiare da sola?

Questa è una domanda che mi fanno spessissimo, soprattutto dopo l’uscita del mio secondo libro di viaggi. Ho visitato infatti la maggior parte delle destinazioni incluse nel mio “Atlante dell’Insolito” (Edizioni Alpine Studio) in solitaria.
Viaggiare da sola mi ha permesso di mettermi più in gioco, questa è un’espressione che ritorna spesso in questa intervista, dovete scusarmi! I viaggi in solitaria permettono di aprirsi di più agli altri e di uscire dalla tanto inflazionata zona di comfort. Mi hanno insegnato a cavarmela da sola.
In realtà, però, in viaggio non si è mai completamente da soli, anche quando si parte da soli. Lungo la strada, ho spesso incontrato qualcuno che conosceva, aveva vissuto o amava queste “destinazioni del divenire” e mi ha regalato la sua memoria personale di questi luoghi: mi piace pensare allora che attraverso le loro parole, questi posti possano rimanere in qualche modo intatti nel tempo.

I tuoi viaggi sono spesso avventurosi, lontani dalle attrazioni turistiche e veramente a contatto con le culture locali. Come ti prepari e come scegli le escursioni o le tappe da visitare?

Sarà una risposta banale, ma l’ispirazione mi viene innanzitutto dalla lettura. La letteratura di viaggio è un’ottima compagna, ma per me esistono anche canali alternativi come possono essere le riviste specializzate. Ad esempio, ritengo che Erodoto108 sia una risorsa eccezionale. Trovo utili anche i documentari e i podcast della BBC, soprattutto quelli come Earth. Inoltre, io sono fortunata: Infatti, il caso e anche qualche viaggio hanno fatto sì che avessi amici, colleghi e conoscenti in numerose nazioni o in altre regioni italiane: questo mi ha permesso, nel corso del tempo, di conoscere destinazioni e situazioni a cui solamente i residenti sono esposti. Si tratta di esperienze che vanno al di là di quello che viene proposto sulle guide di viaggio, e proprio di queste realtà, ho voluto parlare nel mio secondo libro.

In generale il viaggio è una scuola di vita e lo è di più quando si viaggia in solitudine. Ci fai qualche esempio di esperienze che ti hanno segnato particolarmente?

Un esempio su tutti è sicuramente la Bolivia: ho avuto dei compagni di viaggio eccezionali, laggiù. Alcuni di loro sono diventati amici stabili, dopo.
La Bolivia è rimasta dentro di me ed è unica: come puoi descrivere il Nulla del Salar de Uyuni? 40 mila anni fa era un lago, oggi è il più vasto deserto di sale del mondo! Se ci arrivi il giorno dopo di un temporale, l’acqua che rimane sulla superfice crea un effetto specchio che annulla perfino la prospettiva. Il cielo e la terra si fondono, lassù a 3600 metri di quota.
Ma la Bolivia è anche Potosí. Per secoli il Cerro Rico viene svuotato: dalla montagna preziosa di questa comunità vengono estratti senza alcuna cura né ritegno argento, oro, zinco e molto altro. I materiali preziosi vengono fatti estrarre prima dagli indios, e poi dagli schiavi deportati dall’Africa. La Storia si ripete cieca, a Potosí.

Racconti le tue avventure in un blog, skandorinasdiary.com, che è di fatto anche un diario di riflessioni. Collabori poi con la rivista LatitudesLife e le tue avventure sono diventate anche dei libri! Come riesci a memorizzare i particolari dei tuoi viaggi e a restituirli una volta tornata a casa?

Quando viaggio, di solito mi porto dietro un paio di strumenti per appuntarmi incontri, sensazioni, situazioni che potrebbero poi diventare articoli per gli amici di LatitudesLife, ma anche per il mio blog, o per i miei libri di viaggio. Ho sempre con me un taccuino, che fa tanto vintage, lo so! Inoltre, ho sempre il telefono con me, nel caso non avessi carta e penna. Il telefono mi permette anche di registrare dei video o dei suoni. Se faccio viaggi più lontani, poi, ho almeno una macchina fotografica.

In queste settimane siamo tutti chiusi in casa, ma torneremo presto a viaggiare… speriamo! Tu hai già scelto la prossima meta?

Il 4 maggio c’è stato un primo allentamento delle misure di contenimento contro la diffusione del Covid-19. Quella mattina, ero sveglia alle 5 e mezza, così ho messo un paio di scarpe da ginnastica, ho indossato la mascherina e i guanti e sono salita a vedere l’alba su Torino alla Collina dei Cappuccini. Non c’era nessuno per strada, e nemmeno lassù! Questa è stata la mia prima destinazione! Per quanto riguarda il resto del mondo, è così difficile rispondere alla tua domanda: secondo me, ci aspettano settimane molto difficili, in cui dovremo tutti gestire in modo civile e responsabile il nostro desiderio di fuga. Cercherò di fare il mio meglio per evitare errori. In queste settimane di isolamento ho cominciato a mettere insieme una lista di destinazioni, per lo più italiane e vicine, dove mi piacerebbe arrivare non appena sarà più sicuro muoversi. Una tra tutte, arrivare in Liguria, nell’entroterra della provincia di Savona, dove vive la mia famiglia e alcuni dei miei amici più cari. Non dobbiamo avere fretta. Arriverà il tempo e sarà bellissimo ricominciare a viaggiare!

Grazie Vanessa! In conclusione, quale consiglio ti senti di dare ai ragazzi del Collegio o a quelli che lo ha lasciato da poco?

Non so se sono in grado di dare consigli validi, ma ci provo.
Il primo è sicuramente scontato: quando sarà possibile un movimento più ampio, viaggiate, viaggiate il più possibile. Non è sempre necessario andare dall’altra parte del mondo: a volte, ci sono storie incredibili a pochi chilometri da casa nostra. Più viaggerete, più forse vi renderete conto che ci serve davvero poco mentre camminiamo per le vie del nostro pianeta. Forse, nel corso degli anni, comincerete a notare che le dimensioni degli zaini diminuiscono: un paio di scarpe buone, due paia di mutande e di calzini asciutti, un paio di pantaloni e due magliette, un maglione, e un pezzo di sapone.
Il secondo consiglio è forse meno messianico: mettetevi in gioco il più possibile. Fate degli errori. Continuate a studiare. Secondo me, tutto quello che impariamo, ritorna prima o dopo. E se non ritorna come chiave per trovare un lavoro, rimane a migliorarci come persone. Viviamo tutti tempi in cui il mondo del lavoro ha fallito, in modalità e ritmi diversi a seconda della nazione e della generazione, quindi siate flessibili: accettate anche lavori che magari non rispecchiano esattamente quello che avete studiato all’università. Possono essere l’inizio di un qualcosa di migliore. Possono aiutarvi a capire quello che non volete fare.
E come diceva Vonnegut, quando siete felici, fateci caso!